31 dicembre 2015
buon anno
Basta con le briciole... e basta elemosinare
Che sia un anno produttivo e solidale
Auguri a tutti di ogni bene :-)
23 dicembre 2015
Le figure che curano 2
A chi riesce ad essere un faro
e aiuta a districare matasse,
ad uccidere draghi e mostri invisibili
Tutta la mia incondizionata riconoscenza
Non c’è in un’intera vita
cosa più importante da fare
Che chinarsi perché un altro,
cingendoti il collo,
possa rialzarsi.
[Luigi Pintor]
18 dicembre 2015
luoghi
Il cimitero acattolico a Roma, precisamente dove tra tanti
grandi poeti e pensatori, è sepolto Gramsci, è abitato anche da gatti di ogni
età e colore. Hanno una casetta e un rifugio dedicati e i visitatori
contribuiscono con un’offerta al loro mantenimento. E’ così bello guardarli
mentre si aggirano tra le tombe con l'impeccabile sinuosità felina, o scoprirli distesi a
prendere il sole su una lapide.
Mi piace pensare che ogni giorno scelgano
un ospite diverso presso cui riposare.
Oggi vado a fare visita a Miriam Mafai…
Tra le tante tombe ricordo di aver notato quella di Keats e,
appena quasi di fronte, la lapide di uno (a me!) sconosciuto presso il quale i
turisti sostavano più che di fronte a Keats.
Ho preso nota e sono andata a controllare chi fosse tale Joseph
Severn che meritava tanta particolare attenzione. E la ragione c’era!
Keats aveva disposto che sulla sua lapide venisse riportata questa iscrizione:
“Qui giace un uomo il cui nome fu scritto nell’acqua”
Così, quando giunse il suo momento, l’amico e pittore Joseph
Severn fece scrivere sulla propria tomba la risposta a Keats:
“Keats! Se il tuo caro nome fu scritto sull’acqua, ogni
goccia è caduta dal volto di chi ti piange”.
Bellissimo. Amicizia da brivido
10 dicembre 2015
Misericordia
Disegno: ©Arnicamontana
Mai. Mai.
Mai come in questo caso le cifre sgomentano.
700
bambini profughi morti nel 2015
Bambini!
Dopo il
piccolo siriano morto di fronte alla spiaggia di Bodrum tutte le autorità
avevano detto, ribadito, promesso che maipiù maipiù si sarebbe ripetuto un tale
orrore.
Ipocrisia un tanto al kg.
Ipocrisia un tanto al kg.
Torno a
domandarmi…
quale
grado di civiltà, quale specie su questo pianeta terra, permette
il patimento
l’annientamento
la deprivazione
la solitudine
il dolore
le ferite nel corpo
e nell’anima…
infine la morte dei propri cuccioli?
La strage
degli Innocenti. Solo che al posto di Erode ci sono le Grandi Super Potenze
In tempi
di invito alla misericordia…ci sarebbe da ri-considerare tutta l’umana gente.
Ma, al di là di come la si pensi, io credo che questo sia lo spietato e
disumano costo delle Grandi Politiche Economiche Mondiali.
Restiamo umani. Ma anche vigili. 7 dicembre 2015
1 dicembre 2015
to fix
-La tua serenità deve dipendere solo da te e da nessun altro
Sto sola la maggior parte del tempo
Ci provo, ad imparare a gioire per me
Anche con le antenne tese verso l’universo mondo
-Ma la solitudine non va tanto bene! Sarebbe opportuno
uscire, fare cose, vedere gente …
Rimugino. Quello so farlo bene e non me ne sottraggo
Neanche se sento il cervello in fiamme.
E spesso rimugino inutilmente. E si vede.
Imparare a bastarsi ma stando in mezzo agli altri,
mica da sola
Di fatto…cercare un salvagente, un approdo, un bastone di
sostegno
può risultare un attentato al bastarsi
Ma se ne hai bisogno?
Chissenefrega
Aveva ragione quel cartello appeso in una casa occupata da
studenti che ho frequentato in anni molto giovanili
Non appoggiarti a nessuno – ammoniva
Perché se quello si sposta tu cadi
26 novembre 2015
incontri che restano vivi
Quando arrivavo alla Clinica, Maria era già lì. Perché io
entravo ed uscivo mentre lei ci trascorreva proprio il suo tempo. La trovavo
quasi sempre di spalle e mi ricordava, ferocemente, una persona carissima,
sangue dello stesso sangue, perduta per sempre.
Maria era più grande di me, ma
avevamo la stessa età affettiva.
Sebbene fossi preparata ad incontrarla, trovarmela quasi
sempre di spalle mi faceva sobbalzare dentro. Ogni volta. E credevo che questo
non mi avrebbe giovato, che sarebbe stato d’intralcio al mio percorso. E invece
no. Certe volte davvero l’immensità della sofferenza altrui riesce a coprire la
tua. Certe volte ti scatta l’accudimento anche se quella da accudire dovresti
essere tu.
Due occhi grandi, Maria, che per la magrezza parevano enormi,
sempre bei colori addosso, sempre freddo, sempre qualcosa di lana, sempre
lacrime. Irrefrenabili.
Io l’abbracciavo tutti i giorni, qualche volta la trattenevo
per un po’, in silenzio… finché non sentivo un respiro più regolare. Il gruppo
se ne lamentava. Bastapiangere!
Sebbene sapessi che quello non era cinismo da due soldi, pensavo
sempre, senza mai dirlo… “beati loro che possono dire basta”…
Sì, beati coloro che sanno dare direttive, hanno il polso
della situazione, un’incrollabile senso del decoro. Beati coloro che sanno
stare al mondo senza farsene travolgere.
Nell’immaginario di Maria c’erano sempre due alberi… di
volta in volta assumevano significati diversi, ma c’erano. Forse in quegli alberi c’erano le sue cose
belle, i suoi desideri, qualche certezza che deve aver avuto nella vita…
- … tu credi in dio?
No, ma lo stesso prego…
-
Mi insegni a lottare?
Lo so fare male anch’io ma vorrei insegnarti quello e altro
ancora, che a me sembra venire facile e a te no. Io non ti dico basta, perché
le tue lacrime non mi fanno paura. E a distanza di un anno ti penso e ti
abbraccio ogni giorno col pensiero. Buona avventura amicafragile
20 novembre 2015
...una grande fotografa...
Ho visto qualche giorno fa il film documentario su Vivian
Maier e non riesco a smettere di pensare a lei. Al fascino e al mistero che la
sua figura porta con sé.
La bambinaia fotografa l’hanno chiamata in molti,
dopo la scoperta, imperdonabilmente tardiva, della sua opera. Era una donna
riservata ed eccentrica, così raccontano quelli che l’hanno vissuta, i bambini
ormai adulti di cui si è presa cura, i pochi amici, le famiglie presso le quali
ha lavorato…
Una donna alta, immensa, che portava grandi cappotti e
camicie da uomo. E non voleva essere toccata. Con la Rolleyflex perennemente
appesa la collo, ha fotografato la New York
degli anni 50 e 60, ma non solo, cogliendo l’aspetto bizzarro e spesso crudele
della vita.
Sorprendendo talvolta anche la tenerezza della strada e i gesti di
inesprimibile dolcezza.
Vivian scattava centinaia, migliaia di foto in b/n, e
custodiva tutto nelle stanze che di volta in volta abitava e alle quali
impediva l’accesso a chicchessia. Una sorta di Diane Arbus sconosciuta.
E tale sarebbe incredibilmente rimasta se un giovane e
ignaro giornalista, John Maloof, non avesse comprato all’asta, ad un prezzo
irrisorio, tutto il monumentale archivio della fotografa.
Nel film, Maloof racconta per quanto tempo l’establishment
dell’arte abbia respinto le foto che lui stesso aveva iniziato a sviluppare,
quanto ne sia rimasto colpevolmente indifferente. Fino a che le foto di Vivian,
bellissime, commoventi, sarcastiche e originali, non arrirano pian piano al
grande pubblico. E fu la gente a decretarne il successo. Le persone accorsero a
visitare le esposizioni con un tale interesse da imporla infine all’attenzione
dei media, fino a farne un caso.
Credo sia stato giusto così. Penso che una persona
riservata, che raramente offriva immagini di sé e che custodiva gelosamente
ogni scatto, ogni ripresa video… non anelasse ad un riconoscimento accademico. Tutti
si interrogano sulle ragioni della sua ritrosia, io credo sia riconducibile
alla sua natura riservata, difficile per gli altri e anche un po’ folle.
Così, Vivian Maier mi è rimasta dentro… perché la sua vita è
misteriosa, si sa ben poco di lei, ma dal suo lavoro si intuisce una mente
eccelsa, una grande solitudine e anche un terribile segreto portato via con sé.
Dopo aver lasciato Nuoro, la mostra è approdata a Milano. Ne
consiglio vivamente la visita…
10 novembre 2015
Eleonora
La piccola Eleonora si presenta al pomeriggio, entra e
saluta.
Non tutti lo fanno.
Si dirige verso la sezione della biblioteca dove sa di
trovare ciò che cerca, sceglie i libri
per sé e quelli per il fratellino, a casa con la febbre. Può prenderne
fino ad un massimo di 9 figuriamoci!
Magari non esagera, ché se no mamma chi la sente, dice, e ne
prende 5...
però vuole essere certa di non aver già letto quel libro e ricorre
all’uso del catalogo on line. Con la tessera personale (solo sua!) Eleonora può
accedere al suo “profilo utente” e scorrere la lista degli ultimi 50 libri
letti. Ecco fatto, in effetti quel libro lo aveva già letto, ora
ricorda…L’aveva preso in prestito perché se ne parlava tanto ma non le era
piaciuto e lei forse non lo avrebbe mai preso spontaneamente. Mentre si muove
leggera tra gli scaffali a curiosare qua e là, si accorge che è arrivato
l’ultimo numero di Dada, quella meravigliosa rivista d’arte per ragazzi che
offre sempre tanti spunti creativi insieme ad un originale insegnamento della
storia dell’arte. Si mette comoda a leggere Dada e si dimentica del tempo che
scorre. In biblioteca c’è un silenzio perfetto, di tanto in tanto le persone
che entrano sembrano dimenticarsene e alzano la voce e rivolgono le loro
domande alle bibliotecarie quasi urlando.
In biblioteca, un decibel in più
risuona come un urlo e i lettori si voltano incuriositi e qualche volta alzano
la testa come se riemergessero dagli abissi rivolgendo sguardi basiti.
Quando la bibliotecaria preannuncia la chiusura, Eleonora
scatta in piedi e velocissimamente prende i suoi libri, ripone la rivista al
suo posto, ché in biblioteca ogni libro ha un suo posto e c’è un posto per ogni
libro. Lei lo sa. Prima di uscire prende il suo zaino dallo stipetto, compila
la carta d’entrata, saluta e va via con la sua gratitudine e il suo prelibato
bottino.
Creature come Eleonora, certe volte, riescono a raddrizzare
i pensieri storti. Con quella benedetta armonia che dimostra chi sa stare bene
dove si trova.
1 novembre 2015
28 ottobre 2015
tepore
Mi è capitato spesso, soprattutto negli ultimi anni, di
pensarmi e definirmi “un cuore in inverno”.
Esprimendo il pensiero ad alta voce, venivo puntualmente
zittita e contraddetta…
-
No no…tu non sei fredda per niente!
Infatti non sono fredda. Questo, nel bene e nel male, lo so.
L’equivoco nasce dal riferimento al film di Claude Sautet
che porta questo titolo.
Nel film si narra sì di un cuore ibernato, di una paura
d’amare (ed essere amati) paralizzante, che al rischio preferisce la rinuncia.
Un cuore in inverno può essere freddo e distaccato, può aver
deciso ad un certo punto del suo battere incessante che non può più far entrare
niente.
Niente di più di quello già presente, e magari già ingombrante.
Ma non è in questo quadro che mi riconosco e mi definisco.
Un cuore in inverno può sentirsi così perché ha freddo
Un cuore intirizzito dal freddo, ecco.
Può sentire un freddo tagliente, che non passa mai. Anche se
ti infili sotto le coperte e te le tiri su fino a coprirti il viso. Anche se ti
accendi un bel fuoco scoppiettante e lì ti incanti…
Ci sono inverni, dentro a certi cuori, che non conoscono la
primavera che li aspetta e che li sostituirà. Che sempre sentiranno spifferi e
correnti d’aria da cui ripararsi.
Ma il tepore, se non il calduccio, quello c’è, deve esistere!
Non occorre strabuzzare gli occhi, volendo sarebbe sufficiente rilassare il
respiro…
Forse tendervi è faticoso, e qualche volta non lo si vede
proprio. Il tepore che arriva con una voce cara. Un gesto inaspettato e
tuttavia anelato. Una poesia dedicata. Le cagnette abbracciate strette dentro
la cuccia, i gatti di ogni età…pure.
E’ tepore. Certi giorni tanto basta e avanza.
25 ottobre 2015
Alleate
“[…] Eccomi a voi, anime grandi verdeggianti
mute creature che albergate una infinità
di vite piccole, e respirate, come noi.
[…]
Lo so alla perfezione: sono infelice
lontano da voi – che crescete
lentamente. Vi riconosco alleate.
Guardiane che tenete
in vita le nostre vite.”
Da: Mariangela Gualtieri, Le giovani parole, Einaudi, c2015
Non so dire davvero quanto mi senta grata a questa poetessa e alla sua interiorità viscerale, che nomina bene l'innominabile. Che trova parole sapienti.
Ogni volta che mi tuffo su una nuova raccolta dei suoi versi, mi sento come quando da bambini si mangiava lentamente una leccornia pensando così di scongiurarne la fine.
Belle emozioni...
13 ottobre 2015
Le figure che curano. Viaggio nell'abisso 1
Chi, per professione, sceglie di prendersi cura della mente
umana dovrebbe fare molta strada, scendere nelle profondità più recondite,
attraversarle e sentirle su di sé.
Di abisso deve vestirsi.
Chi mi sta di fronte, nell’avvincendarsi di persone sempre
diverse, qualche volta segue la strana via del sospetto. Sei veramente quello
che pensi e dici di essere? Come se mi fossi autodiagnosticata.
Sono troppo lucida… e penso
A chi giova questo sospetto? Non a chi è lì per essere
curato/a. Che, casomai, necessiterebbe di accoglienza prima, e in definitiva di
fiducia. Non parliamo di comprensione! Quella sembra risultare un lusso. Non
sei lì per essere capita (che pretese!). Sei lì per essere curata.
Allora succede che chi fa fatica a credersi malato/a si
ritrae, pensa che forse è così, che la malattia non esiste, l’ha detto persino
una specialista!
Come non comprendere chi arretra e rinuncia? Come dare torto
a chi è costretto a peregrinare dentro strutture, a cambiare stanze, corridoi,
e poi scale, edificio…
Anche sapere di dover varcare sempre la stessa porta può
costituire un’utile e rassicurante certezza.
[La mia rabbia si fa montagna quando il pensiero si fissa su
questo interrogativo… Chi è responsabile delle anime erranti che smettono di
curarsi e finiscono alla deriva?]
E l’umanità dolente… sembra essersi concentrata tutta lì!
Allora fai un respiro profondo. Ti siedi. Fai appello a
tutta la razionalità di cui sei capace, non serve la sensibilità…anzi! Quella
magari lasciala fuori dalla porta, ché può tirare scherzi mancini, può fare
casino, creare equivoci equivoci equivoci….
All’inizio cerchi di leggere, non è un’ideona. Giocherelli
con lo smartphone, cerchi un appiglio…Magari un contatto con chi sta-là-fuori…
Ma niente. All’improvviso un ragazzo gonfio e inebetito da (troppi
o sbagliati) psicofarmaci si alza di scatto. Un tremore attraversa il mio
corpo, mi spavento. Mi sento minuscola e tutta occhi.
Alzandosi, perde il cellulare che va a finire in tanti pezzi
sul pavimento, in ogni centimetro calpestabile. Panico. Si avvicina una ragazza
dai capelli lunghi, occhiaia profonde, sguardo perso… Cerca di aiutarlo a ri-assemblare
i pezzi e ci riesce. Osservo con totale partecipazione. Poi, a quel ragazzo,
riesco ad essergli utile anch’io prima che sparisca chissà dove.
Ore. Ore. Ore. Attese che non so sostenere. Ho bisogno
d’aria e potrei uscire sul piazzale, ma poi magari perdo una delle persone che
ogni tanto transitano nella sala, quelle preposte a dare informazioni. Devi
beccarle al volo, prima che spariscano come attirate da invisibili magneti. Mi
rendo conto che Tutti abbiamo qualcosa da chiedere. Tutti forse abbiamo un
appuntamento che potrebbe vedere allungare i tempi di attesa di chissà quanto.
Non ci è dato sapere.
Ogni volta che i miei passi si muovono là dentro vorrebbero
scappare via. Ogni volta in un dialogo serrato tra me e me dico “non lo auguro
a nessuno”.
Almeno, io non ci riesco. E tantomeno, credo, i miei
compagni d’attesa. Intravvedo spesso l’umile sudditanza tra medico e paziente,
vedo persone a capo chino che dicono sì sì sì… quasi incredule che qualcuno
possa ancora aiutarle. Vedo corpi stanchi che non possono permettersi uno
scatto di impazienza, menti anestetizzate, sguardi che mai e poi mai
metterebbero in discussione parole proferite da chi indossa un camice.
Qualunque grado rivesta.
E’ appena uno spaccato, mi dico ogni volta, cercando di
“uscire da me”, di guardare dal di fuori, come se non mi riguardasse, cercando
di non cadere nel tragico. Quanta, quanta fatica per non scivolare nel dirupo.
Quante energie per scongiurare…
Quanta compassione repressa. Ma la rabbia ancora esce, non
la trattengo. Discuto ed esprimo dubbi e perplessità, tento come una formica di
fronte all’elefante di far notare che c’è troppo troppo dolore inascoltato e non
rispettato. Che l’empatia non può averla inghiottita la macchinetta che al
mattino timbra il cartellino della presenza. Accidenti!
Ma mi sento sbagliata, anche arrabbiata mi sento sbagliata.
Le antenne tese a captare le ingiustizie non si volgono mai
a mio favore. Una lezione che da bambina hanno invano tentato di impartirmi e
che puntualmente si fa realtà e un po’ mi ammala.
11 ottobre 2015
30 settembre 2015
lampi tuoni fulmini e saette
[Renato Fancellu, Controvento, s.d.]
E’ solo una bella trovata poetica di Mogol,
perché non è vero
che quando cade la tristezza in fondo al cuore non fa rumore.
Ne fa eccome! A volte fa un fracasso tale che tutto il corpo
è come se fosse investito da una scossa.
A volte addirittura i vetri si appannano, e quindi non fa
rumore ma si palesa. Dentro e fuori.
Fa rumore ed è un rumore molesto. Come se tutte le finestre
della casa perdessero improvvisamente i vetri.
Nell’ultimo film della Disney-Pixar, Inside out, vengono
rappresentate le emozioni.
Gioia ha un vestito allegro e leggero. Sicuramente estivo.
Tristezza ha un maglioncino di lana. A collo alto.
Perché la tristezza fa venire un freddo bestiale, questo lo
so per certo.
Le due emozioni, nel film più che nella vita, vanno di pari
passo.
Quasi simbiotiche, sicuramente rivestono la stessa
importanza.
Sebbene io creda che il mio personaggio/emozione sia Paura,
ho amato moltissimo Tristezza.
L’ho riconosciuta. Come quando incontri, dopo tanto tempo,
una persona che ti è stata molto cara in un tempo andato… e in lei ugualmente
ti riconosci.
Ho pensato, alla fine del film, che quando tutte le emozioni
si ammalano è davvero un macello, un fracasso un rumore assordante- un tuono
continuo.
Il tuono è triste e cupo. Il lampo solitamente è di gioia.
Neanche la metereologia si sottrae.
23 settembre 2015
versi in cui inciampare
Non avevo ancora esplorato la poesia finlandese…
L’ho fatto e ho trovato un nuovo amore : la poetessa Eine
Joutsijoki.
Molti dei suoi versi hanno iniziato a parlarmi da subito, ad
una prima curiosa e, nuovamente avida, lettura.
Non ho potuto non tendere l’orecchio
[...] Eppure, non c'è niente da fare,
qualcosa senza nome preme
appena sotto il cuore,
il suo ticchettio nelle orecchie
orologio invisibile.
... ancora...
L'inverno è arrivato,
la vita
è facile e semplice,
non c'è bisogno d'altro
se non di rimanere in vita.
14 settembre 2015
Il dirimpettaio
Il dirimpettaio di mia madre abita da sempre i miei ricordi.
Ha l’età di uno dei miei fratelli, e fraterno è il
sentimento che ci unisce.
Da sempre coltiva una passione mal celata per la figura di
mia madre, va a trovarla, parla a lungo con lei e lei con lui, la osserva
incantato, pende dalle sue labbra, la fotografa.
Io lo so perché la ama, senza esserlo, da figlio. Lo so
perché diversamente non si può.
Qualche tempo fa, su un social network, ha pubblicato questa
riflessione, corredata di foto, che mi ha commossa e – se possibile – resa ancora
più fiera di lei. Questa mamma così.
“La mia amica novantenne,
madre di otto figli, questa sera,
quando sono passato a trovarla, nella solitudine della sua cucina non stava guardando la TV ma leggeva un libro: Pane nero di Miriam Mafai: "mi piace perché ci vedo me stessa". Parole sue.
La commozione per la sua semplice intelligente bellezza mi ha pervaso...
Grazie Gavina...”
quando sono passato a trovarla, nella solitudine della sua cucina non stava guardando la TV ma leggeva un libro: Pane nero di Miriam Mafai: "mi piace perché ci vedo me stessa". Parole sue.
La commozione per la sua semplice intelligente bellezza mi ha pervaso...
Grazie Gavina...”
13 settembre 2015
4 settembre 2015
31 agosto 2015
22 agosto 2015
sassolini nelle scarpe
Il funerale del mafioso Casamonica
celebrati in grande stile nella chiesa che aveva rifiutato il funerale a Pier Giorgio Welby, mi dice che QUESTA è la vera faccia della Santa Romana Chiesa. Non quella che sogna e che cerca Papa Francesco
celebrati in grande stile nella chiesa che aveva rifiutato il funerale a Pier Giorgio Welby, mi dice che QUESTA è la vera faccia della Santa Romana Chiesa. Non quella che sogna e che cerca Papa Francesco
27 luglio 2015
voglia
Voglia di tenerezza
Di quella inattesa leggera opportuna
Di quegli abbracci così sentiti che sembrano dire
Vatutto bene
Anche se niente è a posto.
Tenerezza non richiesta
Quella di cani gatti cavalli volatili
O dell’umana gente
Di sorrisi tirati fuori dalle tasche come
Coriandoli dimenticati
E la vita chiama
[F. Casorati, La preghiera, 1914 tempera su fustagno]
11 luglio 2015
aggrapparsi
Mia carissima Wislawa... oggi mi aggrappo a te
ai tuoi versi che sanno dirmi...
[non si è mai abbastanza grati ai poeti]
La vita – è il solo modo
per coprirsi di foglie,
prendere fiato sulla sabbia,
sollevarsi sulle ali;
essere un cane,
o carezzarlo sul suo pelo caldo;
distinguere il dolore
da tutto ciò che dolore non è;
stare dentro gli eventi,
dileguarsi nelle vedute,
cercare il più piccolo errore.
Un’occasione eccezionale
per ricordare per un attimo
di che si è parlato
a luce spenta;
e almeno per una volta
inciampare in una pietra,
bagnarsi in qualche pioggia,
perdere le chiavi tra l’erba;
e seguire con gli occhi una scintilla nel vento;
e persistere nel non sapere
qualcosa d’importante.
(da “Un attimo”, 2002)
ai tuoi versi che sanno dirmi...
[non si è mai abbastanza grati ai poeti]
La vita – è il solo modo
per coprirsi di foglie,
prendere fiato sulla sabbia,
sollevarsi sulle ali;
essere un cane,
o carezzarlo sul suo pelo caldo;
distinguere il dolore
da tutto ciò che dolore non è;
stare dentro gli eventi,
dileguarsi nelle vedute,
cercare il più piccolo errore.
Un’occasione eccezionale
per ricordare per un attimo
di che si è parlato
a luce spenta;
e almeno per una volta
inciampare in una pietra,
bagnarsi in qualche pioggia,
perdere le chiavi tra l’erba;
e seguire con gli occhi una scintilla nel vento;
e persistere nel non sapere
qualcosa d’importante.
(da “Un attimo”, 2002)
Iscriviti a:
Post (Atom)