Uno degli ultimi pubblicati in Italia lo scorso anno, con una bellissima copertina, e con un titolo che omaggia Dostoevskji.
Come spesso accade però, il titolo in lingua originale rende maggior giustizia al contenuto del libro, Les aventuriers de l’absolu: Wilde, Rilke, Cvetaeva. Perché ciò che fa Todorov è proprio questo, attraverso tre dei protagonisti letterari del Novecento, ricerca e analizza il bisogno di infinito che alberga dentro ogni uomo. Questi tre intellettuali avevano in comune, secondo Todorov, un’ideale romantico di bellezza che li spingeva ad una dissociazione dalla vita, un ritirarsene in favore dell’opera d’arte, della creazione estetica. Tutti e tre parlano d’amore, ma di fatto rifuggono l’amore applicato, quel vivere l’altro davvero dentro di sé.
E’ un saggio godibile e a tratti, durante la lettura, sembra di trovarsi seduti al tavolino di un Caffè con questi grandi, e se uno ama uno scrittore, un poeta, ha piacere a sentir raccontare di lui.
Di Oscar Wilde negli anni giovanili ho divorato l’opera omnia ma le pagine che più amo sono quelle del De Profundis, perché lì trovo l’umano dolore, la sofferenza più acuta che mi parla di Wilde uomo, non solo del genio artistico di tante altre sue opere. Lì, in quelle pagine, vedo la fusione tra vita e opera d’arte. Alcuni versi di Rilke rinnovano ogni volta l’incanto e spesso mi offrono la possibilità di sfogliare emozioni e ricordi come un album fotografico. Ma Rilke, ricorda Todorov, viveva esiliato dalle donne che ispirarono molti suoi versi, e spesso l’uomo e il poeta si muovevano “su piani che non comunicano tra loro”. E Marina Cvetaeva… viveva per lo più all’ombra dei grandi cui si era legata, quasi dimentica di se stessa si dedicava ad una forsennata ricerca della bellezza (anche se, a differenza di Rilke, desiderava l’incontro fisico).
Infine cos’è questa ricerca di eterno, di assoluto, di infinito che mal si coniuga con la vita reale?
Vita contemplativa o vita agita, esposta agli eventi, partecipata…Questo ci è dato di scegliere.
Quel pomeriggio, in quel momento di attesa, ho pensato che la bellezza salva quella parte di umanità che sta bene, o che è nelle condizioni di accoglierla…gli altri, quelli che di essa possono venir privati, restano allora dannati, perché la bellezza può non arrivare a tutti.
Però poi ho trovato conforto in questo pensiero: che per questi ultimi, la bellezza viene dall’amore che alita intorno, ed è un amore di vita partecipata.
Per questo oggi, a distanza di tempo dalla lettura di quel libro, penso che la vera bellezza della vita risieda proprio nell’amore che circola laddove la bellezza non può arrivare.