27 ottobre 2010

espiazioni

Mentre coralmente ci si unisce alla battaglia sulla libertà di parola, continuo a constatare che persino in queste trasmissioni alcuni temi continuano a restare tabù. E non capisco se dietro la scelta ostinata, per esempio, di non trattare e approfondire la penosa situazione delle carceri italiane ci sia il pensiero che non è cosa che interessa la maggioranza dei telespettatori…

Nei tg nazionali vengono snocciolate le cifre allarmanti. Si notificano morti, sospette e non, con lo stesso tono con cui si annuncia il prossimo conduttore di Sanremo. Si invita la sorella del povero Stefano Cucchi, assurto suo malgrado ad emblema delle morti in galera, e con queste briciole di share che ancora il caso suscita, l’informazione è data.

Prima e dopo di lui ancora tanti, di cui non si parla perché magari le famiglie si sono chiuse in un dolore che non va alla ribalta. Un dolore muto e rassegnato che non fa audience. O un dolore urlato e inascoltato.

Mi piacerebbe vedere una puntata intera dedicata al tema, dove si racconti che non c’è una bella aria.


Chiunque per saperne di più può documentarsi come crede, ma vorrei lo stesso una serata di informazione, dove insieme alla brutta aria che tira, si ricordasse a tutti che le galere italiane scoppiano e dentro certe galere ci sono anche bambini, non dimentichiamolo mai.


Dei piccoli di Rebibbia avevo già parlato qui.


Oggi la situazione non è cambiata, a Rebibbia è peggiorata perché si è arrivati addirittura al sovraffollamento! Là dove c’erano 6 lettini, ora ce ne sono 12.

Ci sono galere dove c’è solo un bambino in mezzo a tanti adulti, altre dalle quali i bambini non possono proprio uscire.


Ho letto recentemente che questa sarebbe la terza legislatura chiamata a valutare la possibilità di pene alternative per le madri, nell’attesa penso al fatto che più della metà della popolazione carceraria è costituita da extracomunitari, quindi qualunque proposta legislativa deve necessariamente contemplare l’inclusione, più che l’esclusione.


Quanto può pesare tutto questo sulla coscienza di cittadini inebetiti di fronte allo schermo? Quanto costringerebbe i politici, che si ama invitare al salotto, a dare risposte ufficiali e pubbliche?

Non voglio fare l’idealista, non lo so se e quanto peserebbe, però…mi piacerebbe poterlo constatare, avere la possibilità di verificarlo!

Mi piacerebbe che si evidenziasse l’impegno dei volontari comparato a quello dei governi. E che si mostrasse, insieme all’aberrazione, anche la rete di quelle piccole e sparute realtà dove si fa qualcosa di concreto, piccole cose che hanno un grande valore. Come l’impegno costante di associazioni di volontariato che cercano di non far pesare ai bambini ulteriori espiazioni. Come le iniziative di quei Comuni che hanno allestito un angolo verde all’interno del carcere dove i bambini possono incontrare e pranzare insieme ai genitori reclusi. Piccole, irrisorie attenzioni che in una realtà difficilmente trasformabile danno un assaggio di normalità.


La normalità che agli uomini liberi spesso pesa, mentre costituisce l’assenza pungente di chi vive dietro le sbarre. Vorrei che si parlasse di tutto questo al pubblico inebetito, magari per sensibilizzare e coinvolgere i più pigri, quelli che sembrano accorgersi di una realtà solo quando passa in TV.

Dentro alla nostra realtà ce n’è una parallela che respira e qualche volta soffoca.


Le celle pullulano di extracomunitari, l’affiliato al clan è spesso servito e riverito e temutissimo, il povero cristo che ha rubato per sfamare la famiglia attende i tempi biblici del giudizio. Non può esserci una bell’aria in carcere, intrinsecamente impossibile.

Non c’era una bella aria neanche nel carcere francese di Grasse che ha restituito il corpo del giovane italiano svuotato. Una macabra carcassa privata persino del cuore.


Che concetto abnorme di espiazione sono stati educati a coltivare i secondini?

22 ottobre 2010

conversiamo!

Di osservare o riflettere sull’esercizio della conversazione si sono preoccupati fior fior di studiosi, antropologi, sociologi, psicologi sono intervenuti sul tema…e io non posso aggiungere niente di nuovo.
Certo, io non sono una chiacchierona, però per la verità non è che mi senta neanche tanto stimolata a diventarlo. E’ chiaro: dal modo di condurre una conversazione si capiscono (o si fraintendono) molte cose.

Io capitolo spesso di fronte a quel tipo di interlocutore che interrompe sempre.
Quello che se tu inizi un ragionamento, e magari ti piace riflettere (in tempi ragionevoli) su quello che stai per dire o come rendere meglio il concetto, ti interrompe, anticipa il tuo pensiero imprimendo alla conversazione una fretta che non aveva!
Ci sono persone così, che forse lo fanno per venirti incontro, per dimostrare che sì, hanno capito dove vuoi arrivare, e forse lo fanno anche per un bisogno di sentirsi attive e mai passive…Io cerco sempre di trovare una spiegazione a questo comportamento quando è reiterato, un motivo recondito che non mi faccia arrivare alla condanna.
Cerco di non arrivare a concludere subito, prima ancora dentro di me, “e ma con te non si può parlare!”.

Ma spesso, e più genericamente, da questa mancanza di empatia mi sento minacciata.

D’altro canto ci sono quelli che se la prendono davvero comoda, che tra un concetto e l’altro fanno passare una quantità di tempo in cui magari saresti andata a bere un caffè e anche tornata. Quelli…se li interrompi sono guai! Neanche proferiscono verbo, ti fulminano direttamente con lo sguardo o si schiariscono la voce per imporre il silenzio. Era così un docente di Storia all’università, e tu non potevi mai intervenire con un’osservazione o con una domanda. Davvero un’ottima interazione.

In generale, ho molto spesso la sensazione di assistere a dei monologhi simultanei. Situazioni in cui ognuno segue un suo personale esclusivo percorso e da ciò che dice l’altro non vuole neanche essere sfiorato.

[Edouard Boubat, Remi ecoutant la mer, 1995]

Non è solo incapacità di ascolto o mania di protagonismo, mi dico, ci sarà dell’altro... Alla conversazione si affidano gli istinti e si vede subito se chi hai di fronte è davvero interessato al tuo punto di vista o se l’unico interesse è quello narcisistico di parlare di sé.

La capacità di ascolto non è contagiosa come l’influenza, eppure tutti se la attribuiscono! Io non so come si misura. Su me stessa, ho forti dubbi…Potrei dire che non sono brava ad ascoltare, perché non so stare ferma per troppo tempo e spesso mi spazientisco ecco, mi piace tanto stare in ascolto ma questo non significa che sia brava a farlo. Perciò mi chiedo… come fa chi se ne dice dotato a stabilirlo?

18 ottobre 2010

cose inammissibili

Lo scorso fine settimana sono andata ad un incontro al parco di Ottobre in poesia. La prima giornata d’autunno dopo giorni di mare. La furia del vento e il cielo nero sembravano suggerire di barricarsi in casa, ma la poesia sfida pure il maltempo e chissenefrega del traffico impazzito. Una volta raggiunto il parco…un’altra giornata. Il vento, che sembrava il dazio da pagare per il tragitto, solo un ricordo, e un sole primaverile baciava i versi sparsi qua e là. Ebbene, dentro questo quadro impressionista, tra tutti i versi che ho potuto ascoltare, quelli che mi sono rimasti dentro sono del poeta americano Richard Tillinghast. A leggere magnificamente questa poesia che riporto è stato il suo traduttore.

Non è ammissibile
di Richard Tillinghast
(traduzione di Fabio Barcellandi)

La carne in scatola non è ammissibile, il concentrato di pomodoro non è ammissibile
i vestiti non sono ammissibili, le scarpe non sono ammissibili, i quaderni non sono ammissibili.
Tutto questo sarà conservato nei nostri magazzini a Kerem Shalom
fino a nuovo avviso.
Banane, mele e cachi sono invece ammessi a Gaza,
pesche e datteri, e ora anche la pasta
(dopo la visita del senatore americano).
Questi sono vitali per il sostentamento quotidiano.

Ma niente albicocche, niente prugne, niente uva, niente avocado, niente marmellata.
Questi sono lussi e non sono ammissibili.
La carta per i libri di testo non è ammissibile.
I terroristi potrebbero usarla per stampare materiale sedizioso.
E perché poi avreste bisogno di libri di testo
ora che le vostre scuole non sono che macerie?
L’acciaio non è ammissibile, i materiali da costruzione non sono ammissibili, i tubi di plastica non sono ammissibili.
Questi i terroristi potrebbero utilizzarli per lanciare razzi
contro di noi.

Zucche e carote potete averle, ma nessuna prelibatezza,
niente ciliegie, niente melograni, niente angurie, niente cipolle,
niente cioccolato.

Abbiamo una lista di tre dozzine di articoli che sono ammessi,
ma non siamo obbligati a rivelarne il contenuto.
Questa è la decisione presa
dal Colonnello Levi, dal Colonnello Rosenzweig, e dal Colonnello Segal.

Il nostro motto è:
’Nessuna prosperità, niente sviluppo, nessuna crisi umanitaria.'

Potete pescare nel Mediterraneo,
ma soltanto entro tre chilometri dalla costa.
Oltre questa distanza apriremo il fuoco.
È un vero peccato che le acque siano inquinate
venti milioni di litri di liquami scaricati in mare ogni giorno
è la cifra confermata.
I nostri razzi hanno colpito gli impianti di depurazione,
e a questo punto i pezzi di ricambio per ripararli non sono ammissibili.

Finché Hamas ci minaccia,
il cemento non è ammissibile, il vetro non è ammissibile, le apparecchiature mediche non sono ammissibili.
Vi teniamo d’occhio dai nostri troni senza pilota
mentre cucinate i vostri miseri pasti sui fuochi all’aperto
e mentre dormite
fra le rovine di case distrutte dai colpi dei cannoni.

E se i vostri figli non riescono a dormire,
mancando loro i fratelli uccisi nelle nostre incursioni,
o urlano di notte, o bagnano il letto
nelle vostre tende di fortuna per rifugiati,
o gridano, per il dolore dei loro arti amputati -
questo è il prezzo da pagare per aver nutrito terroristi.

Dio ci ha dato questa terra.
Una terra senza popolo per un popolo senza terra.

Per ricordare i bambini di Gaza ho fisse nella mente (e nel cuore, si) le bellissime foto di Alice.

16 ottobre 2010

un pensiero...




per Maricica e per tutte le donne vittime della furia degli uomini

8 ottobre 2010

sogno e incontro

Quando una persona ci sta a cuore è il suo bene che desideriamo, ed è commovente questo moto dell’anima, questa cosa che nasce dalle viscere e si manifesta come crede.
E così, sicuramente evocata da un pensiero costante, una scrittrice che mi sta tanto a cuore è venuta a trovarmi in sogno. C’erano parole grandi che non riuscivo a pronunciare. E c’erano silenzi così ingombranti che tutta la casa e lo spazio circostante non potevano bastare. Il mio sogno si svolgeva qui (e dove posso figurarmi se no?), ricordo alcune piante, ricordo che mi domandavo se i giacinti acquatici le sarebbero piaciuti, ricordo che mi preoccupavo che fosse tutto in ordine.

C’era lei, ed era giovane ringiovanita e rinvigorita, avvicinava a se una rosa rossa per ammirarne meglio il colore. Era una rosa rossa tutta stortignaccola, come me, e in lei perciò mi sono identificata. Non perché volessi essere ammirata meglio, volevo essere sentita. Presente. Vicina. Presente fino a far male. Però lei c’era e questo, nel sogno, era l’unico pensiero lucido che mi confortava. Sentivo che dovevo essere sopra ogni cosa grata per quello sforzo di mostrarsi, di far capolino, qui nel mio fazzoletto di terra..

Il mio sogno aveva nostalgia ed era vivo come la mia speranza cocciuta, intenso come la luce che mi ha risvegliata, questa luce d’ottobre che mi piace tanto


disegno: ©Arnicamontana

1 ottobre 2010

signori ricchi

Durante la mia turbolenta giovinezza ho lavorato, per mantenermi agli studi, alle dipendenze di alcuni esemplari di “ricchi della costa smeralda”.

Ero giovane e piuttosto battagliera. Ma mi trovavo ad ingoiare più o meno di tutto, non solo perché l’autonomia economica era il punto d’orgoglio della mia generazione, ma soprattutto perché lavorare significava poter studiare. Non sono nata in una famiglia benestante e, dopo le scuole obbligatorie, lo studio non sarebbe stato un diritto garantito. Ingoiavo quello che la mia immensa rabbia poteva permettersi, mandavo giù umiliazioni e sbeffeggiamenti, sempre fino a un certo punto.

Così, fatte ovviamente le dovute distinzioni, ho sviluppato, e credo a ragion veduta, un’insopprimibile intolleranza verso i signori ricchi.

Una famiglia di milanesi pretendeva di istruirmi sulla flora della mia isola, e addirittura un giorno la “signora” ha affermato solennemente di fronte ai suoi ospiti che “i sardi non conoscono il basilico”, mentre lei continuava a scambiare una pianta di timo per origano.


Un giovane rampante, appartenente ad una facoltosissima famiglia romana, mi aveva chiesto se noi in Sardegna conoscevamo il gioco del calcio. Tipo Zulu, no?

Lo scudetto gloriosamente vinto dal Cagliari nel ’70 non l’aveva neanche sfiorato e, non solo per questo frangente, i miei ricordi di questi signori ricchi sono associati ad un grado di ignoranza delle cose…sconvolgente.


L’elegante (e tristissima) “signora” del Trentino pretendeva che per una cena con personaggi famosi mi trasformassi nell’immagine stereotipata della cameriera indossando grembiule e crestina in pizzo intonata…Quella volta l’ho mandata a quel paese e sono andata a dormire in spiaggia sola, infreddolita e impaurita.


Quando mia madre provava a chiamarmi, pagavo care quelle due parole scambiate col nodo alla gola della nostalgia. Trovavano sempre il modo di far scontare il minimo attimo di intimità concesso alla serva.


Spesso i signori ricchi si attardavano con gli ospiti ascoltando a manetta Julio Iglesias. Mentre io, nella mia celletta, distruttissima dal superlavoro, tentavo inutilmente di dormire.


Ho molti ricordi conservati ben bene nella mia mente, non so a far cosa, non so perché continuino ad ingombrare, ad occupare spazio che potrebbe essere occupato mille volte meglio.

Ma le umiliazioni non si cancellano, col tempo forse riesci a prenderne le distanze…

Le persone umiliate provano spesso vergogna di se stesse per lo schifo subito, come se a loro fosse imputabile la colpa.

Io provo vergogna per l’incommensurabile grettezza di chi umilia.

Ché davvero signori si nasce!