28 settembre 2012
"più conosciamo, più soffriamo"
Ho avuto il piacere di leggere, su Rep2012, l’anticipazione
dell’intervento che Michela Marzano farà il 29 settembre al Torino
Spiritualità.
La filosofa, per cercare di spiegare il rapporto tra sapienza e dolore, parte da una frase dell’Ecclesiaste (o Qohelet)
che recita
"Grande sapienza è grande tormento: chi più sa, più
soffre".
E’ opinione comune che gli “ignoranti e i superficiali” se
la passano meglio, vivono con meno tormenti, non stanno a porsi troppe domande
e vanno avanti sicuri e protetti dentro un gregge silente…
Ma che destino è riservato a chi, interrogandosi sulle cose e
sulla loro natura, coltiva la conoscenza, ce lo spiega Michela Marzano in una interessante interpretazione del Qohelet.
Riporto alcuni stralci dell’intervento che mi sembrano degni
di riflessione.
“ […]Quando si parte alla scoperta di se stessi e delle
radici del proprio essere, ci si incammina per i sentieri di un continente dove
le leggi della logica servono a ben poco. Perché la realtà è troppo complessa
per essere rinchiusa all'interno di un sistema perfetto: nella vita, i conti
non tornano quasi mai. […]
Quando si cercano le parole giuste per spiegare cosa ci
tiene in piedi o per comunicare agli altri quello che si prova, il pensiero
balbetta e perde il filo. […]
Soprattutto quando ci si avventura nell'oscuro mondo del
proprio passato, alla ricerca di quel momento particolare, di quel punto in cui
tutto sarebbe cominciato. E che ci si rende conto che si è confrontati ad un
mistero, a qualcosa che non scopriremo mai. Tanto più che non basta capire per
cambiare. Anzi molto spesso, quando si capiscono alcune cose, si acquisisce poi
anche la consapevolezza della propria impotenza non solo di fronte a ciò che è
stato, ma anche a ciò che sarà. È allora che la sofferenza ci sommerge. Perché
si capisce che il passato non passa mai, che non si può ricominciare tutto da
capo, che alcuni errori si pagano per sempre, che talvolta non resta altro che
l'accettazione...
Il problema della conoscenza è che, per capire qualcosa
dell'essere umano, si dovrebbe avere il coraggio di guardare in faccia il
mistero dell'esistenza, con tutto ciò che esso comporta: splendori, miserie,
riso, lacrime. E quindi anche l'umiltà di sapersi confrontare con la propria
impotenza, visto che nella vita ci sono tante cose che non dipendono da noi e
per le quali non possiamo fare niente. Ma quando ci scopre impotenti, è
inevitabile soffrire. Più conosciamo, più soffriamo. Perché la conoscenza ci
mette in contatto con la nostra fragilità e ci obbliga ad accettare i nostri
limiti. Perché conoscere non significa dominare. Perché qualcosa ci sfuggirà
per sempre. Ecco perché il Qohelet parla di "fame di vento". Ciò cui
ci esorta, però, non è certo l'ignoranza. È un invito ad essere consapevoli che
la conoscenza non ci rende mai onnipotenti. “
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