11 marzo 2013

che ci vuole a preparare un sugo!



Quella mattina si era alzata decisa a mettere le cose a posto, a fare ciò che doveva essere fatto.
La regolarità, la sistematicità, la disciplina…Chissà cos’era stato, se l’inattesa giornata di sole o che altro, a metterle addosso quella illogica allegria, che l’aveva fatta sentire in collegamento con tutte le persone che le volevano bene e che per lei, ogni tanto, mostravano apprensione.
“Farò un bel sugo!” si era proposta entusiasta, poiché preparare un sugo rappresentava tutto quello che di insormontabile c’era, da una vita ormai, nel suo comportamento. Aveva preso pentola e ingredienti e si era messa ad armeggiare in quello spazio, la cucina, che godeva poco della sua presenza.

Diciamo che lo aveva avviato quel sugo, aveva tenuto la fiamma bassa e poi era uscita chiudendo la porta per non sentirne l’odore.
“Il profumo!” la correggevano tutti. Per lei era odore, spesso fastidioso.

Ogni tanto era andata a controllare e quando il sugo era giunto a cottura, aveva spento ed era uscita lesta dalla cucina chiudendosi, ancora, la porta alle spalle.
Provava qualcosa che si avvicinava alla gioia, quel particolare sollievo che si prova quando un gigantesco senso di colpa si placa, quando si è consapevoli di aver fatto ciò che era giusto.
Sapeva che per consumare ciò che aveva cucinato avrebbe aspettato l’indomani, per quel giorno aveva già fatto abbastanza. L’indomani, avrebbe esercitato la stessa forza di volontà, si sarebbe imposta la stessa normalità, sarebbe arrivata a cucinare la pasta al sugo e l’avrebbe mangiata!
Si sentiva a posto, col suo proposito, per una volta giusta e non sbagliata.
Che ci vuole? che ci vuole? la domanda più frequente che incombeva sui suoi “pochi chili umani”, insieme alle voci di chi affermava con sicumera che
basta volerlo! Di chi sentenziava che chi non ama il cibo non ama la vita! Di chi si spingeva al più allucinante dei ricatti: pensa alla fame nel mondo! Chi considerava politicamente la cosa e concludeva che sono malattie del benessere.

Chi parlava spudoratamente di pieno a chi sentiva solo un profondo vuoto. 


Il 15 marzo è diventata la Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla. Una giornata di sensibilizzazione sui DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare).

4 commenti:

adele ha detto...

Ci sono gesti quotidiani ripetuti normalmente che danno gioia, piacere, ai più, e che , invece, annichiliscono altre persone per le quali gli stessi normalissimi gesti creano un senso di vuoto interiore, paura, terrore. Preparare un banalissimo sugo, uscire a fare una passeggiata, fare le semplici azioni del quotidiano.
Tutto ciò che per la maggior parte delle persone rientra nella normalità per alcuni è sforzo continuo, atto di volontà, frutto di una lotta interna con se stessi, sempre , ogni giorno, e tutto diventa sfiancante.
E che ci vuole?
E' difficile, molto difficile anche spiegare agli altri, è difficile trovare le parole per dirlo.
E allora la lotta silenziosa continua, ma se si riesce ad uscire dal silenzio e a dar voce al proprio disagio interiore , si può, non subito, ma nel tempo, rimettersi in contatto con quella parte di noi che ha potuto esprimersi solo attraverso i sintomi.

guglielmo ha detto...

Il solo pensiero del "disturbo alimentare" mi disturba... forse perché da sempre mi impongo una dieta ferrea...

Anonimo ha detto...

ciao! Ogni tanto ripasso di qui. Io credo che l'alimentarsi, come è inteso oggi, sia il primo disturbo alimentare. Mangio pochissimo, da sempre. A volte mi scordo di mangiare. Ma il mio umore, sempre stato ottimo, ha iniziato a vacillare solo quando le persone hanno iniziato a considerarmi malata. Ad assillarmi. Ci ho creduto. E il cibo è diventato un problema. Il MIO problema. Col tempo ho imparato ad ascoltare il mio corpo e chiudere le porte alle opinioni altrui, anche quelle dei medici e di coloro che "mi vogliono bene". Mangio meno di prima, se possibile, ma meglio. Mangiavo solo latte, qualche raro biscotto, qualche raro frutto. Mai pasta nè pane o carne nè pesce. Ora ho eliminato il latte perchè era lui la causa dei miei disturbi, non il poco cibo, e l'ho rimpiazzato con molta frutta e verdura. Sto bene, benissimo, piena di energia e in armonia col mondo che mi circonda. Certo, non ho le curve di chi continua a pensare che il cibo sia per me IL problema, ma neanche i loro acciacchi e la loro monotonia di vivere. Io sto bene e mi piaccio.

Silvia.

arnicamontana ha detto...

Adele, prendo la conclusione del tuo bel commento come un auspicio di grande valore, grazie!

Guglielmo, non so cosa dire perché non ho capito in che modo ti "disturbano" i disturbi alimentari...o forse volevi solo fare un simpatico gioco di parole?

Silvia, grazie della testimonianza...Purtroppo esistono diversi livelli di gravità del disturbo, e non sempre si tratta di sostituire un cibo con un altro...L'esperienza che racconti è però preziosa perché parla di una vittoria. Grazie di essere ripassata e di aver lasciato una traccia