Esistono delle condizioni interiori che portano avanti la nostra esistenza, la conducono proprio, indipendentemente dalla nostra volontà… e che, come una malattia invalidante, ci marchiano.
Penso sempre con molta pena al bambino che si porta addosso una paura grande che solo da adulto, forse, imparerà a riconoscere. Esistono delle condizioni che richiedono un dominio che quel bambino non imparerà mai, forse, ad esercitare.
Nelle persone abbandonate, ma anche negli animali, cerco quei primi anni di vita, quello smarrimento. Mi capita di incontrare degli sguardi che hanno quella luce, li riconosco come familiari. E li ho visti pochi giorni fa, in farmacia…una giovane madre col suo bambino che teneva per mano, si stringevano nella stessa sorte. Ho riconosciuto quegli sguardi che sembrano brillare per un’attenzione che vivono come immeritata.
C’è chi reagisce agli abbandoni con un muto e risentito silenzio, chi le tenta tutte per scongiurarli, chi finge di accettare ma ogni tanto ha la tentazione di inutili incursioni nella vita dell’abbandonante.
Non esiste persona al mondo in grado di garantire a qualcuno che mai l’abbandonerà, non possiamo sapere se saremo vittime o carnefici un giorno. E se tutto può tornare utile, in termini di esperienze acquisite, all’abbandono non riesco proprio a riconoscergli alcuna utilità.
Sì, probabilmente ogni abbandono porta con sé l’invito a lasciar andare.
Persone, sentimenti, situazioni che ci vestivano così bene…
Io, di fronte agli abbandoni, sono un po’ come il “peggior sordo che non vuol sentire”.
Ricordo di essermi anche applicata nell’esercizio dell’accettazione. Certe volte penso di avercela messa tutta, ma i risultati sono sempre stati deludenti. Fallisco sempre, non credo di aver accettato davvero nessuno degli abbandoni subiti e, come tutti forse, ho finito per affidarmi al più abusato dei luoghi comuni “solo il tempo può guarire”…
Nel mio mondo immaginario esiste una scuola (pubblica) dove si insegna a gestire gli abbandoni. I docenti sono degli abbandonanti abbandonati e gli allievi sono tutte persone che hanno capito che la paralizzante paura dell’abbandono può rovinare la vita. Perciò hanno scelto quella scuola.
Nel mio mondo immaginario però io posso solo farci un salto di tanto in tanto, perché mi tocca vivere in questo reale, però a quella scuola dedico la maggior parte delle mie risorse (immaginarie).
10 commenti:
ciao sono Luisa,condivido totalmente quello che hai scritto sull'abbandono, io ne so abbastanza vuoi per l'età e vuoi purtroppo perchè la mia esitenza è stata costellata da abbandoni e non è vero almeno nel mio caso che ciò che non ti distrugge ti fortifica,mi piacerebbe riuscire a creare come hai fatto tu un mondo immaginario ma non ne ho più le forze ciao passerò di nuovo da questo splendido blog cercando di non disturbare.
L'abbondono...è una sensazione terribile! E' un lutto che ti porti dentro e che per quanto ti applichi non riesci ad elaborare.Essere "lasciati" è diverso che essere abbandonati ( o almeno io la vedo così). Ci si lascia e ci si dice - come in un tuo post precedente) bae in bon'ora, ma se uno abbandona l'altro/a in genere lo fa lasciando un vuoto incolmabile. Pensiamo a un genitore che abbandona un figlio in tenera età...nello sguardo di quel bimbo brillerà sempre questa terribile ferita!
Avevo cominciato scherzando, ma è troppo semplice la cosa, è troppo difficile, la cosa, per non seriarci su.
E' quella roba dell'indifferenza della natura, che indifferente non è perché non può che essere così. Secondo te, un albero a cui tagliano o bruciano viva un'albera accanto, prova dolore?
Dài, resta Arnica: hai mai visto una pianta arrabbiarsi? :-)
Preso dal tuo post, pensavo: la vita comincia con una separazione. La nascita è una separazione. La prima. Non è detto che sia un abbandono. L'abbandono è una separazione violenta? Comunque, è una separazione. La nascita lo è, è sempre una separazione, condizione necessaria ma non sufficiente per l'abbandono. La nascita è una separazione anche se non è un abbandono. Tranne rarissimi casi, la nascita è una separazione ma non un abbandono. Chi nasce, però, non lo sa, che non è un abbandono. Non può essere sicuro, che, là fuori dove è finito, non sarà lasciato solo, al freddo e ai lupi. I quali, come si sa, a volte sono costretti a prendersi cura anche dei rarissimi piccoli umani abbandonati. Così nascono gli imperi, dagli abbandoni di piccoli umani recuperati dai lupi.
Comunque, poi, dopo la nascita, di separazioni mi pare che non ce ne siano più.
:-)
Insomma, volevo dirti che il mondo di cui parli non è un mondo immaginario. La scuola che insegna a sopravvivere alle separazioni violente, cioè agli abbandoni, c'è: è questo mondo, questa vita che tutti viviamo. Dalla nascita in poi, siamo continuamente cimentati a vivere separazioni, e alcune separazioni sono violente, sono abbandoni - a volte sono vissute come abbandoni anche quando non c'è stata la volontà di chi se ne va di abbandonare - per esempio quando uno muore e c'è chi per un po' si sente abbandonato.
Tutti noi, siamo immersi nel mondo delle separazioni. E da subito dopo la nascita in poi, la scuola della vita ci insegna a non morire e a non uccidere nelle separazioni, anche quando sono abbandoni o sono vissute come abbandoni.
A volte la scuola fallisce. Ci sono insegnanti che non sanno insegnare quella capacità. Per esempio, madri che non sanno vivere le separazioni, tantomeno gli abbandoni, e non permettono ai propri figli di mantenere equilibri meravigliosi con cui, probabilmente, sono nati - o, se preferisci, non sanno insegnare ai propri figli equilibri intimi che ci rendono capaci di sopravvivere agli abbandoni, per poi pian piano tornare a vivere.
Quando la scuola di sopravvivenza agli abbandoni - che è la nostra vita questa e non un mondo immaginario - fallisce, e alcuni o molti esseri umani non sanno come cavarsela davanti ad abbandoni, allora, allora può valere la tua domanda, che, per quanto ne so, formulo nella mia mente in questo modo: Arnica vorrebbe una scuola che faccia recuperare alle persone che l'hanno persa la capacità di non morire nemmeno davanti al peggiore degli abbandoni. E siccome questa scuola non esiste, pensa di volere un mondo immaginario.
(Continuo in commento che segue, se no in uno non c’entra.)
Quindi, continuo: secondo me questo mondo:
1- è una scuola, primariamente di madri sapienti, che insegna a sopravvivere alle separazioni e cerca anche di insegnare a sopravvivere agli abbandoni
2- nonostante l'insegnamento di separazioni e quello annesso di sopravvivenza agli abbandoni di solito funzioni, a volte fallisce e sono problemi gravi, comunque è un fatto che, spesso ma non sempre, resta negli umani un timore più o meno vago, che a volte diventa un'ansia stesa su tutta la vita, e proprio per questo fatto che esistono separazioni assai difficili, e che la cosa può toccarci tutti.
Tu, Arnica, pensi che sia un mondo immaginario quello che si pone lo scopo di risolvere il dolore e l'angoscia al punto 2.
Dici? E il nostro lo hai dimenticato? :-)
Sai quanti sono quelli che hanno usato l'angoscia dell'abbandono per i propri scopi?
E' vero, ci sono stati grandi uomini che si sono posti proprio questa domanda: come faccio ad affrontare un dolore come quello di un invivibile abbandono? Buddha, per esempio, che partì proprio dall'analisi del dolore umano davanti alla malattia, alla morte, alla separazione violenta da persone amate. Oppure le religioni - dico oppure, perché il buddhismo non è, o almeno non nasce come, religione. Le religioni si nutrono a piena pancia di quelli che non avendo una risposta interna agli abbandoni cercano una scuola che insegni loro a cavarsela adesso che sono diventati adulti.
Poi, molto poi, ci siamo noi psicoterapeuti - non psicologi, dico, ma, tra i laureati in psicologia, quelli che poi si sono specializzati in psicoterapia in una delle apposite scuole. Bè, uno psicoterapeuta, o sa rispondere alla tua domanda, ma dico di fatto, di pancia, di petto, di spessore di sua esistenza propria, inconscia, preverbale, non a parole, non di parole, oppure dovrebbe dire: mi scusi, ma in questo non sono capace, non ho questo organo psichico - sono bravo, sa, guardi qui che altri organi ho, ma quello per sopravvivere agli abbandoni no, non ce l'ho, non faccio parte della scuola di Arnica.
Passiamo tutti per entrambe le fasi: abbandonare ed essere abbandonati, anche se non ce ne accorgiamo.
Sull'abbandono, dato o ricevuto, credo si debba soprattutto riflettere: per capire, per passare oltre, per dotarsi di altri, nuovi e migliori "mezzi".
Certo, se volessi esasperare il tema scriverei che ci sono abbandoni inguaribili eppure inevitabili, come quelli determinati, che so, dalla morte di un genitore; io, per esempio, convivo male con la morte, ormai lontana di decenni nel tempo, di mia madre: perché avvenuta precocemente, sì, ma soprattutto perché mi ha tolto definitivamente la possibilità di recuperare con lei un rapporto meno teso allo scontro, più aperto alla dimostrazione dell'amore grande che pure, a dispetto delle nostre liti furiose, ci univa.
Ecco, vedi, mi viene da aggiungere che ho imparato persino da questo dolore, da questo abbandono senza rimedio, da quest'occasione mancata per sempre.
Cerca di volgere in riflessione gli abbandoni, traine profitto per te, per le tue vicende future: questo mi sento di dirti, io che sono soltanto una pessima alunna, tanto che per questa storia di mia madre, di tanto in tanto, continuo a soffrire e a piangere.
Un abbraccio, bella
Tez
In quella scuola insegneranno che la vita non è una favola e che gli essere umani sono terribilmente fallibili, crudeli a volte. E che si cresce anche nel dolore e nella paura.
Apprezzo gli echi di Galeano.
Miei cari amici, nei prossimi giorni verrò a trovarvi, per il momento vi ringrazio tanto e per diverse ragioni.
Per essere passati, per aver lasciato il vostro pensiero e la vostra testimonianza, per avermi fatta sentire meno sola anche in questo periodo buio che mi ha tenuta lontana dai vostri blog..
Le separazioni mi addolorano e altre volte ho scritto su questo. Su alcune di esse riesco a riflettere costruttivamente e anche a capire…Su altre mi dannerò per tutta la vita forse. E’ vero, le separazioni ci fanno sentire mutilati, e la morte di una persona cara ci fa sentire 'anche' abbandonati, ma nell’abbandono dei propri figli da parte di un genitore ci vedo una carica violenta che non so accettare. Un genitore che abbandona merita ugualmente la mia comprensione ma non riesco ad accettarlo, perché innesca un senso di deprivazione eterna da cui il bambino abbandonato non guarisce.
Luisa, grazie della condivisione, non disturbi e sei la benvenuta.
Giovanna, hai portato l’esempio giusto.
Rom, più che un commento mi hai regalato un post che, come sempre, richiederà giorni di riflessione. Grazie.
Tez, il tuo racconto intimo mi commuove e te ne sono grata. Anche del consiglio, anche se arriva da una pessima alunna!
Si impara, sì, anche dal dolore Prog, sono d’accordo (anche l’esperienza più lacerante lascia qualcosa che ci fa crescere) ma dalle paure non superate no, non si impara niente. Oggi questo sento.
"...il bambino abbandonato non guarisce..."
Sì, è altamente probabile che quella ferita resti aperta come una memoria sempre presente. Come se il tempo non fosse sufficiente a demarcare ciò che è stato da quello che oggi è: il bambino è cresciuto, è un adulto, forse è anche un marito ed un padre, magari capace di non abbandonare, che sa amare con continuità, senza tradimento, senza follia.
E' altamente probabile che quella ferita resti aperta ma quel bambino oggi adulto forse trova nell'amore verso la propria donna ed il proprio figlio l'unico sollievo. E abbracciandoli abbraccia anche se stesso.
Grazie per i tuoi post cara Arnica, in particolare per questo tuo, che tocca il mio cuore.
:-)
Che bella che sei amica di scoglio!
Il mare che ci separa può essere considerato un abbraccio...no?
Ti stringo
Desa
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