22 ottobre 2010

conversiamo!

Di osservare o riflettere sull’esercizio della conversazione si sono preoccupati fior fior di studiosi, antropologi, sociologi, psicologi sono intervenuti sul tema…e io non posso aggiungere niente di nuovo.
Certo, io non sono una chiacchierona, però per la verità non è che mi senta neanche tanto stimolata a diventarlo. E’ chiaro: dal modo di condurre una conversazione si capiscono (o si fraintendono) molte cose.

Io capitolo spesso di fronte a quel tipo di interlocutore che interrompe sempre.
Quello che se tu inizi un ragionamento, e magari ti piace riflettere (in tempi ragionevoli) su quello che stai per dire o come rendere meglio il concetto, ti interrompe, anticipa il tuo pensiero imprimendo alla conversazione una fretta che non aveva!
Ci sono persone così, che forse lo fanno per venirti incontro, per dimostrare che sì, hanno capito dove vuoi arrivare, e forse lo fanno anche per un bisogno di sentirsi attive e mai passive…Io cerco sempre di trovare una spiegazione a questo comportamento quando è reiterato, un motivo recondito che non mi faccia arrivare alla condanna.
Cerco di non arrivare a concludere subito, prima ancora dentro di me, “e ma con te non si può parlare!”.

Ma spesso, e più genericamente, da questa mancanza di empatia mi sento minacciata.

D’altro canto ci sono quelli che se la prendono davvero comoda, che tra un concetto e l’altro fanno passare una quantità di tempo in cui magari saresti andata a bere un caffè e anche tornata. Quelli…se li interrompi sono guai! Neanche proferiscono verbo, ti fulminano direttamente con lo sguardo o si schiariscono la voce per imporre il silenzio. Era così un docente di Storia all’università, e tu non potevi mai intervenire con un’osservazione o con una domanda. Davvero un’ottima interazione.

In generale, ho molto spesso la sensazione di assistere a dei monologhi simultanei. Situazioni in cui ognuno segue un suo personale esclusivo percorso e da ciò che dice l’altro non vuole neanche essere sfiorato.

[Edouard Boubat, Remi ecoutant la mer, 1995]

Non è solo incapacità di ascolto o mania di protagonismo, mi dico, ci sarà dell’altro... Alla conversazione si affidano gli istinti e si vede subito se chi hai di fronte è davvero interessato al tuo punto di vista o se l’unico interesse è quello narcisistico di parlare di sé.

La capacità di ascolto non è contagiosa come l’influenza, eppure tutti se la attribuiscono! Io non so come si misura. Su me stessa, ho forti dubbi…Potrei dire che non sono brava ad ascoltare, perché non so stare ferma per troppo tempo e spesso mi spazientisco ecco, mi piace tanto stare in ascolto ma questo non significa che sia brava a farlo. Perciò mi chiedo… come fa chi se ne dice dotato a stabilirlo?

15 commenti:

rom ha detto...

E' un conversare particolare, quello nostro qui - ma forse tu ti riferisci alle situazioni in cui conversare ha di diritto il suo nome.
E così, forse ancora di più, è una capacità di ascolto particolare, quella che mettiamo in atto qui. Fisicamente, è una capacità di lettura. L'udito, l'ascolto in quanto funzione degli orecchi, non è interessato - a meno che non ci sia un sottofondo musicale scelto da chi scrive nel suo blog, e può essere considerato parte di quello che "dice".
Qui, per noi, vale, almeno letteralmente, una capacità di lettura. Che poi è un modo di dire che è stato esteso alla capacità di interpretare l'insieme di percezioni che ci arrivano da una situazione: si dice che si è capaci di "leggere" l'insieme dei messaggi che l'altro trasmette, non solo quello che dice ma anche come lo dice, le pause che fa, le intonazioni della voce, i movimenti volontari e involontari che compie, la postura se sta fermo, la mimica, e questa "lettura" la facciamo "istintivamente", con sensibilità personali diverse ma, soprattutto, con una diversa disponibilità a farlo: molti non lo fanno affatto, e la capacità di lettura, che tutti abbiamo, non la mettono in atto, anzi bloccano le percezioni in una fase precedente, non le accolgono in sé quanto è necessario per "sentire" con i sensori interni, psichici, oltre che con quelli fisici dell'orecchio e della retina.
Accogliere in sé, prima ancora che capire, spesso senza capire, senza voler necessariamente capire e comunque prima di capire, è cosa che ha presentato i suoi pericoli, forse per questo a molti non riesce più, e non lasciano entrare niente, oppure vanno di ascolto di testa, a capire capire capire, a chiedersi chiedere spiegarsi spiegare perché perché perché io io io - no tu no.
La capacità di ascolto è capacità di accoglienza, capacità di contenimento, apertura senza voler capire, senza voler interpretare, senza voler rispondere brillantemente, senza voler rispondere, né brillantemente né stupidamente.
La risposta verrà da sé, forse.
E' apertura, la capacità di ascolto di cui parli, e questa ha presentato i suoi pericoli - può presentare pericoli.
E' capace di ascoltare chi non ha subìto precoci ferite dolorose, ed è poi cresciuto, è sceso in strada e ha imparato a chiudersi quando è il caso e sa farlo rapidamente, prima ancora di sapere che lo ha fatto.
Saper ascoltare viene da una sicurezza di sé e una disponibilità empatica - è un impasto vivo di interesse per l'altro e capacità istintiva di autoconservazione. Come sempre, amare non basta. Bisogna saperlo fare.
Sai ascoltare se, quando occorre, i tuoi sensori interni ti fanno diventare indifferente come se fossi un albero prima che tu capisca quello che sta accadendo.
Me lo ha dette la natura indifferente, queste cose. :-)

Angelo azzurro ha detto...

"La capacità di ascolto è capacità di accoglienza, capacità di contenimento, apertura senza voler capire, senza voler interpretare, senza voler rispondere brillantemente, senza voler rispondere, né brillantemente né stupidamente."
Straordinario il commento di Rom, ha detto tutto quello che c'è da dire egregiamente.
Io che sono volontaria A.V.O ho come punto di riferimento proprio questo concetto. Quando ci si avvicina all'ammalato, devi aprirti verso l'altro proprio in maniera empatica, nella totale disponibilità. Questo è l'ascolto.

guglielmo ha detto...

Siamo circondati da cattivi esempi e forse anche noi ci siamo assuefatti al dialogo tra sordi che pare dominare la vita sociale e che trova nella politica la sua punto di sfondamento.
Non c'è massima più inascoltata di quella dell'abate del XVIII secolo Dinouuart "Si deve smettere di tacere sono quando si ha qualche cosa da dire che valga più del silenzio". Ma quante parole avremmo "risparmiato" se avessimo tutti seguito questa massima?
Il silenzio è una grande conquista interiore e non ha caso è il punto di approdo di tutto il monachesimo di ogni religione al mondo.
Detto questo il corrompimento della parola ci deve preoccupare: è il sintomo di un degrado sociale, politico. E' una battaglia sacrosanta quella di contrastare questa deriva e si combatte solo riportando al senso "vero" delle parole.
Siamo pertanto in bilico tra la "tentazione" del silenzio e la necessità di dire.

guglielmo ha detto...

Naturalmente mi sono giocato ogni credibilità con quel "ha caso"...

Anonimo ha detto...

I monologhi simultanei è una definizione perfetta. Quasi sempre le persone parlano unicamente per sentire il suono della propria voce e riuscire a convincersi di esistere, di essere qualcosa. L'altro è solo lo specchio su cui riflettere il proprio ego, a volte uno semplice sparring partner. Si pensa che ascoltare sia una cosa semplice, tutti sono convinti di saperlo fare perché confondono la capacità di percepire il suono della voce con la possibilità di decodificarne il significato. Più una persona è egoriferita maggiore la sua convinzione di essere in grado di ascoltare, una convinzione sincera basata sulla confusione dovuta al fatto che sono persone sì continuamente in ascolto, ma solo sulla propria frequenza.
La comunicazione calda, faccia a faccia, scorre per l'80% nel paraverbale e nel non verbale. Lì il vero senso da cogliere eppure è esperienza comune che raramente accade. Forse per distrazione, forse per presunzione, forse per lato autismo.
In ogni caso la capacità di ascolto non necessità di empatia: tra il comprendere cosa una persona sta esprimendo e la compartecipazione in quello che sta provando esiste una differenza di campo notevole. Si può ascoltare profondamente senza empatizzare.
Poi, per inciso, la facoltà di empatizzare è anche quella auto-attribuita con enorme facilità e di solito in modo gratuito e insensato. Anche perché le persone hanno di solito difficoltà a comprendere quello che provano loro stesse, figuriamoci gli altri!

Emilia ha detto...

Poni un problema a me tanto caro. Da anni osservo questo parlarsi addosso, questo interrompere continuamente l'altro, questo dialogo in cui sempre si vouole far precalere le prorpie opinioni piuttosto che confrontarle. Credo che tu sappia quanti post ho dedicato a questo problema. Io non so se so ascoltare, sono gli altri a doverlo dire, non io. Sono gli altri che devono sentire in te questa capacità.
Un abbraccio

Giovanna ha detto...

Cara...l'altro giorno ho letto il post e immediatamente mi sono sentita colpevole per averti trattenuta al tel per lungo tempo... per almeno un paio di volte :-)mentre magari tu avevi voglia di muoverti :-) Ora scherzi a parte l'argomento merita un commento meno demenziale di questo...per cui ora vado a fare la mia buona azione quotidiana e poi torno a fare anche un mea culpa!
P.S.Ottimi anche i commenti dei tuoi commentatori!

giorgio ha detto...

Nella mia professione ascoltare è il 50% del lavoro.
Lasciare anche tempi vuoti, che servono perchè l'altro possa andare a pescare più in profondità dentro di sè altre cose più difficili o più lontane per dirle. Percepire che ha detto tutto per il momento e quindi dire qualcosa io, ma sempre proponendolo, appoggiandolo lì esattamente a metà strada tra me e l'altro, che se vuole raccoglierlo può farlo, ma è assolutamente libero anche di non farlo, chè il Discorso va avanti lo stesso. Perchè il Discorso non è fatto dalle parole e l'Ascolto non è quello delle orecchie.

Arnicamontana ha detto...

bello, ogni vostro commento costituisce un post a sè che arricchisce il discorso. Grazie per le vostre riflessioni.
Per quanto mi riguarda, è chiaro che la domanda finale è provocatoria, poiché la capacità di ascolto non è affatto così diffusa altrimenti forse non ci sarebbero queste moltitudini di solitudini. La capacità di ascolto E' accoglienza, certo. Mi metto in discussione perché davvero non credo sia così semplice saper ascoltare.

Grazie di cuore a tutti voi
Giovanna: ci siamo sentite due volte da quando ci conosciamo e non ricordo di aver provato fastidio. Le telefonate non fanno testo nella valutazione, e poi... per fortuna hanno inventato il cordless!!! ;-)

Giovanna ha detto...

Ascoltare è cosa semplice,automatica! Capire lo è molto meno...empatizzare ancor di più! Sono tutte fasi che non necessariamente devono essere utilizzate in contemporanea,anche perchè spesso chi parla, non ti chiede di essere capito, non ti chiede di penetrare in lui ( ammesso sia possibile farlo). Spesso chi ti parla o si racconta lo fa con la presunzione che comunque tu non puoi capirlo( è capitato anche a me con tante persone), quindi è inutile sforzarsi. Il tema è complesso perchè complessi e unici siamo noi. Forse, l'unica cosa che si può fare è porsi agli altri con meno superficialità ma sempre, in ogni caso, senza la presunzione di voler capire a tutti i costi. Per molte persone è sufficiente che ascoltiamo, perchè le nostre solitudini sono talmente grandi che a tratti non abbiamo neanche un interlocutore con cui farlo. Chi mi parla addosso, mi interrompe, pretende di fare un soliloquio dura appena 5 minuti con me :-)

Venti dell'Est ha detto...

Io, io!!! Sono io quella che descrivi, paro paro! Forse è che abbiamo tanto bisogno di parlare, di farci capire nel profondo che alla fine diamo l'impressione di non ascoltare, di non interessarci all'altro, interrompendolo e rimettendo nuova carne sul fuoco...
A questo proposito, passa da me a leggere e diffondere na notizia interessante (ecco, lo vedi che sono io quella che descrivi?)

giardigno65 ha detto...

eppoi è sempre valido ? non dipende dai momenti ?

made ha detto...

Consiglio la lettura del saggio di Benedetta Craveri: La civiltà della conversazione. Edizione Adephi
Eccone un brano:
Questo ideale di conversazione, che sa coniugare la leggerezza con la profondità , l’eleganza con il piacere, la ricerca della verità con la tolleranza e con il rispetto dell’opinione altrui, non ha mai smesso di attrarci; e quanto più la realtà ce ne allontana tanto più ne sentiamo la mancanza. Esso ha cessato di essere l’ideale di tutta una società , E' diventato un ‘luogo di memoria’, e non c‘è¨ rito propiziatorio che possa riportarlo fra noi a condizioni che non gli sono favorevoli; conduce ormai un’esistenza clandestina, ed è¨ appannaggio di pochissimi – eppure niente ci dice che un giorno non possa tornare a renderci felici. (pag.17)
Buona lettura!!! made

Arnicamontana ha detto...

Giovanna: secondo me, la prossima volta che ci incontriamo facciamo scena muta per paura di interromperci a vicenda ahahah!
Eretica: tu, tu, tu...quale delle due tipologie che ho descritto? ;-)
Giardigno: dipende dai momenti la capacità di ascolto? questo non lo so, ma spero vivamente che chi possiede questo dono ogni tanto si riposi e si conceda pure il lusso di non ascoltare.
Made: grazie del consiglio di lettura, dallo stralcio che hai riportato sembra interessarmi. Cercherò il libro.

nonsonozelinda ha detto...

purtroppo anche io ho il vizio di interrompere...e quando succede....mi morderei la lingua...forse è la paura di non essere ascoltati alla fine.....
Con stima, NSZ