30 marzo 2013

25 marzo 2013

empatici o simpatici...purché sia!


Nel mio vocabolario, credo da sempre, la parola fine non riesce proprio a trovare posto.

Grazie ad una delle mie sorelle maggiori, ho imparato a leggere e scrivere prematuramente, ma la parola fine no, mi era ostile anche allora, conservo memoria viva di me così piccola alle prese con un significato così grande.

A volte mi incupisco anche quando finisce un libro, un film o una rappresentazione teatrale…


Ovviamente ci sono frangenti più rilevanti in cui la fine è inaccettabile, e persino quando è prevista dall’inizio, tremendissimamente sicura, anche così puntiamo i piedi e cerchiamo di opporci.

Ma senza entrare in merito alle cose, appunto, irreversibili…
questa parola fine mi fa sempre paura, mi mette agitazione, in certi casi mi fa sentire esposta alle intemperie…

E c’è quella fine che si poteva evitare, sì mannaggia, per quelle non mi disabituo ad interrogarmi.

La fine di un rapporto, di una relazione di qualunque natura…ancora mi porta a domandarmi “ma non si può/poteva fare niente?”. Lo so, certe storie devono finire e basta. Ma altre...si potevano salvare?

Non si poteva coltivare insieme un po’ di empatia o simpatia?

Come se si potessero coltivare!



Non necessariamente potremo essere entrambi, perché – come è noto  -  non è detto che l’empatia intesa come capacità di capire e condividere gli stati emotivi e affettivi degli altri, corrisponda alla simpatia, cioè ad una motivazione tesa al benessere degli altri. Si può provare empatia senza sentire simpatia dicono oggi le neuroscienze.

Mammamia! Sarò empatica? Simpatica? Solo una delle due cose e quale? O nessuna?

Dovrei capirlo a tutti i costi se volessi interpretare i miei rapporti con gli altri, soprattutto su quelli dove è stata apposta la parola fine.
Non è mica uno scherzo!


Questi cavillosi pensieri, che si insinuano quando voglio spostare l’attenzione da qualcosa che le mie spalle non  “reggono”, mi fanno domandare….quando non si fa di tutto per stare bene, per venirsi incontro, sorreggersi vicendevolmente, per avvicinarsi alla comprensione…possibile che, laddove si mette la parola fine, si manchi di entrambe le cose?

Che questi circuiti neuronali non entrino in azione?


Complicata io, ma complicato e affascinante il cervello umano

11 marzo 2013

che ci vuole a preparare un sugo!



Quella mattina si era alzata decisa a mettere le cose a posto, a fare ciò che doveva essere fatto.
La regolarità, la sistematicità, la disciplina…Chissà cos’era stato, se l’inattesa giornata di sole o che altro, a metterle addosso quella illogica allegria, che l’aveva fatta sentire in collegamento con tutte le persone che le volevano bene e che per lei, ogni tanto, mostravano apprensione.
“Farò un bel sugo!” si era proposta entusiasta, poiché preparare un sugo rappresentava tutto quello che di insormontabile c’era, da una vita ormai, nel suo comportamento. Aveva preso pentola e ingredienti e si era messa ad armeggiare in quello spazio, la cucina, che godeva poco della sua presenza.

Diciamo che lo aveva avviato quel sugo, aveva tenuto la fiamma bassa e poi era uscita chiudendo la porta per non sentirne l’odore.
“Il profumo!” la correggevano tutti. Per lei era odore, spesso fastidioso.

Ogni tanto era andata a controllare e quando il sugo era giunto a cottura, aveva spento ed era uscita lesta dalla cucina chiudendosi, ancora, la porta alle spalle.
Provava qualcosa che si avvicinava alla gioia, quel particolare sollievo che si prova quando un gigantesco senso di colpa si placa, quando si è consapevoli di aver fatto ciò che era giusto.
Sapeva che per consumare ciò che aveva cucinato avrebbe aspettato l’indomani, per quel giorno aveva già fatto abbastanza. L’indomani, avrebbe esercitato la stessa forza di volontà, si sarebbe imposta la stessa normalità, sarebbe arrivata a cucinare la pasta al sugo e l’avrebbe mangiata!
Si sentiva a posto, col suo proposito, per una volta giusta e non sbagliata.
Che ci vuole? che ci vuole? la domanda più frequente che incombeva sui suoi “pochi chili umani”, insieme alle voci di chi affermava con sicumera che
basta volerlo! Di chi sentenziava che chi non ama il cibo non ama la vita! Di chi si spingeva al più allucinante dei ricatti: pensa alla fame nel mondo! Chi considerava politicamente la cosa e concludeva che sono malattie del benessere.

Chi parlava spudoratamente di pieno a chi sentiva solo un profondo vuoto. 


Il 15 marzo è diventata la Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla. Una giornata di sensibilizzazione sui DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare).

9 marzo 2013

il tuo tiglio

"Il vento visita ogni foglia del tiglio senza dimenticarne nemmeno una,come un pellegrino venuto dall'altro capo del mondo e che entra in ciascunacasa di un paese per dare la sua benedizione"
[da: C. Bobin, Resuscitare,Gribaudi,c2003]

ti penso, oltre ogni dire, in questo mese che è tuo più d'ogni altro
tua, A
'

6 marzo 2013

perché non se ne vanno

domande sincere o tendenziose, pregiudizi duri a morire, la scellerata convinzione che riguardi sempre gli altri... 

e poi...queste risposte

3 marzo 2013

Bruno



Bruno, una vita da barbiere
Una vita da pittore
In mezzo, sempre, pienamente
padre amorevolissimo e sposo innamorato
Avrei voluto dirlo a tutti, Bruno, quanto era importante
quel tuo modo di stare al mondo.
Pacifico, amorevole e curioso.
Quanto è merce rara quel rispettoso riserbo delle vite altrui, quel saper essere così pazienti…Mi è sempre piaciuto osservare la tua riservatezza, quella di chi tesse ragnatele di sapienza, l’amore per l’antico, per i ricordi da tenere vivi…
Tua moglie dice che continuerai a dipingere per loro, le tue straordinarie ragazze ti riconoscono in piccoli segnali della vita che scorre.
Amore e pazienza, Bruno…gli ingredienti della tua vita. Il segreto tuo era questo, ce lo hai dimostrato conducendo senza mai un lamento una battaglia impari. Me lo hai insegnato ogni giorno cosa significa lottare in silenzio e accettare con dignità i limiti umani.
Tutto quell’amore con cui ci nascondevi le immani sofferenze del corpo, non è andato perduto.
E io ti penso e ti coltivo nel mio fazzoletto di terra