29 settembre 2008


[Banksy]

Post seriosissimo.

Ho letto, da Giovanna (vedi tra i miei link amici), un bel post sulla morte, e penso che lei sia stata coraggiosa a scriverne, perché non è una cosa di cui si ama parlare…La morte è la separazione definitiva, ma lo spinoso per me è la separazione in genere. Così mi viene in mente una conversazione con un’amica, tanto tempo fa, sulle pene d’amor perduto. Nei miei ricordi, tra tutte le parole dette, rimane sospesa una frase pronunciata da lei quasi con imperiosità “si perde veramente una persona solo quando questa muore!!”…

Io ho capito il suo punto di vista, ma continuo a non essere d’accordo. Quello che si vive in una separazione (qualunque, purché importante) è ugualmente un lutto. E’ una perdita non solo dell’altro/a, ma anche di se stessi e del proprio ruolo dentro la relazione. Addirittura anche del proprio linguaggio a volte, tanto da sentirsi improvvisamente muti. Quello che si vive è una ferita. La separazione fa sentire scuciti. Io non credo che esista separazione senza dolore, anche perché molto spesso per separarci dobbiamo ferirci, sbattere porte, rompere argini. Chi lascia, vive il senso della rinuncia, e chi viene lasciato vive l’abbandono, la privazione. E io (non ci posso fare niente?) sono visceralmente CONTRO ogni forma di abbandono. Non riesco ad accettare l’abbandono degli animali, l’abbandono dei vecchi negli ospizi, dei malati negli ospedali, l’abbandono dei figli, quello dei bambini nei cassonetti, l’abbandono degli immigrati nei c.p.t.

Così da una parte rifletto sulla paura dell’abbandono che segna molte esistenze, e dall’altra mi lamento di quanto non si è preparati a lasciar andar via qualcuno che si ama…

L’abbandono mi fa male, e le separazioni anche. Pure quando queste sono necessarie, come le potature sono utili all’albero per crescere ed irrobustirsi.

Pur essendo disillusa sulle cose persempre, ho paura delle separazioni perché portano cambiamenti e, in definitiva, ho paura dei cambiamenti. Sebbene ne abbia affrontati tanti, sento di non essermi educata.

E’ curioso che riusciamo più facilmente a prenderci, sceglierci, unirci…piuttosto che a lasciarci.

Perché siamo così inabili a recidere rami secchi o ormai malati?

Perché non ci è stato insegnato ad unirci e dividerci con la stessa cura?

Perché manca, anche nei luoghi deputati alla formazione (come famiglia e scuola), un’educazione sentimentale?

Forse sono interrogativi inutili e infantili, ma mi sembra un argomento presente nella vita delle persone e per questo mi va di parlarne


25 settembre 2008

Un incontro letterario e artistico di altissimo livello, in quest’ultima settimana, è stato quello con La straordinaria invenzione di Hugo Cabret, un’opera straordinaria dello scrittore-illustratore americano Brian Selznick.

E’ molto più di un romanzo, di un romanzo illustrato, di un graphic novel, è un omaggio al cinema muto, e non solo, con disegni a matita stupefacenti, disegni pensati come sequenze cinematografiche.


Un libro in cui, come recita la copertina, sono le parole ad illustrare le immagini ed entrambe catturano l’entusiasmo. Mi ha fatto venire in mente quand’ero bambina, quando ci arrivava l’antologia scolastica prima dell’inizio delle scuole. Mi ci buttavo avidamente, con una curiosità bella e commovente da ricordare…







Proprio quando la bellezza, la maestria, il talento bucano gli attimi. E’ un libro di 542 pagine, di quelli di cui capita di essere gelosi e ingordi e che non si vorrebbero finire mai. Un crescendo di fremente curiosità e ammirazione. Bello davvero. Nelle librerie e nelle biblioteche si trova nella sezione dedicata alla letteratura per ragazzi, ma dovrebbe stare in vetrina, alla portata di tutti gli sguardi curiosi di belle storie, di cinema, di disegni incredibilmente belli.


22 settembre 2008

Partecipazione



[Caspar.David Friedrich: “Donna alla finestra”,1822]

La bellissima e appassionata pagina di Roberto Saviano su la Repubblica di oggi, dovrebbe girare di casa in casa, di mano in mano, dovrebbe rompere vetri di finestre chiuse, dovrebbe accendere luci...Mi ha fatto riflettere, questa lettera, mi ha fatto indignare, e mi ha trovata sempre più solidale l’accorato appello alla partecipazione. E contemporaneamente mi ha fatto venire in mente i bellissimi versi del teologo tedesco Martin Niemöller (e spesso erroneamente attribuiti a Bertold Brecht)

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento perchè rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perchè mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti ed io non dissi niente perchè non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me

e non c'era rimasto nessuno a protestare.


Ci lascia indifferenti ciò che non ci riguarda direttamente, ciò che pensiamo (in base a chissà quali certezze) a noi non accadrà mai…

E a volte ci lascia indifferenti anche ciò che passa sulla nostra pelle...


Saviano lancia un grido:

Davvero vi basta credere che nulla di ciò che accade dipende dal vostro impegno o dalla vostra indignazione? Che in fondo tutti hanno di che campare e quindi tanto vale vivere la propria vita quotidiana e nient'altro. Vi bastano queste risposte per farvi andare avanti? Vi basta dire "non faccio niente di male, sono una persona onesta" per farvi sentire innocenti?

E giro e mi rigiro la sua domanda

Quanto della cultura della partecipazione sopravvive nei nostri piccoli gesti quotidiani?

Quanti alibi siamo capaci di crearci?

Quanti e quali nomi riusciamo a dare alla cruda indifferenza?

15 settembre 2008

Solidarietà al blogger Carlo Ruta

Comunicare l'un l'altro
scambiarsi informazioni è natura

Tener conto dlelle informazioni
che ci vengono date è cultura

[W. Goethe]

Un paio di mesi fa lo storico siciliano Carlo Ruta è stato condannato al pagamento di una multa di 150€ e delle spese processuali per essersi macchiato del reato di “stampa clandestina”, modernissima fattispecie prevista dall’art. 16 dellal.47/1948.
Questo ci fa pensare/temere che se i tribunali interpretassero la normativa vigente in questo modo, tutti i blog e i siti d’informazione sarebbero prodotti editoriali non registrati, quindi clandestini, quindi criminali.

Per approfondimenti : www.liberainformazione.org

4 settembre 2008

solitudini


Non è perché sono sola

E le decisioni pesano tutte su di me

Non è perché col mio innato bisogno di condivisione

e di confronto

Non so più dove guardare, che direzione imprimere al mio sguardo

La solitudine la si deve conoscere

Non è una cosa che nasce con te

La devi indossare, sentire come una doppia pelle,

come una coperta che non riscalda mai

Devi amarla e detestarla


A volte veste i giorni d’attesa

Qualche volta ti ci puoi pericolosamente affezionare

Qualche volta sperare che non sia per sempre.

Ecco, così si capisce la solitudine come condizione di vita

A volte càpita, come un’influenza

A volte la si sceglie

E non è perche sono sola

Come un’isola nell’isola

Che faccio del mio gatto un figlio.

Non è perché sono sola

No, davvero, non è per questo che sto al riparo dal rumore

e dall’affanno della vita là fuori

Non ho urgenza di riempire silenzi e spazi vuoti

A tutti i costi.

Anche chi ha un suo focolare si sente solo

a volte

Anche il limone ha la tristezza tra le sue patologie

e se gli pianti accanto un suo simile

Esplode di gratitudine con i suoi frutti

Solo l’indifferenza o il disprezzo

per ciò che intorno è vivo e palpita

o, nell'indifferenza e disprezzo, muore

può rendere veramente sola una persona